E' fastidioso come a quarant'anni suonati da un bel po' tutto continui ad essere così oscillante. Uno pensa che crescendo le cose si stabilizzino; e invece no. Come era scritto nel Qoelet: c'è un tempo per piangere e uno per ridere, uno per nascere e uno per morire. Ma io pensavo che quello di tempo fosse un concetto lineare, con un prima e un dopo. Macchè, neanche questo è vero, il tempo lineare è un'invenzione della mente, di quella occidentale, naturalmente. Tutto accade nel qui e ora, e quindi io sto piangendo e sto ridendo, sto tentando di spiegarmi e non mi sto facendo capire... tutto nel presente, insomma.
Sento una lacerazione e intanto mi sento totale. Non capisco e mi frustra l'idea che questo stato mi distragga da cose più importanti, come il lavoro, i miei rapporti con i figli, o la salvezza dell'umanità. Ma forse non tanto importanti quanto ritrovare un'unità in me stesso.
Fra l'altro guardandomi attorno vedo persone normali, che si fanno le loro storie, e mi chiedo: sono davvero serene o stanno fingendo? Anche loro sentono la stessa irrequietezza che sento io?
Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per
nascere e un tempo per
morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per
piangere e un tempo per
ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per
amare e un tempo per
odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.