Alcuni anni fa, in agosto, di ritorno da un viaggio in treno, persi una coincidenza e dovetti passare la notte in stazione. Faceva caldo, decisi di sistemarmi su una panchina al fondo dell’ultimo binario. Nel cuore della notte la donna si avvicinò, sbucando nel cerchio di luce del lampione più vicino; una senzatetto, io la salutai, lei si sedette al mio fianco tossendo e mi chiese una sigaretta, ci mettemmo a parlare. Noi ci conosciamo, mi disse, e poi mi raccontò che fino a pochi anni prima lavorava come ricercatrice in un istituto che si occupava di mappatura del genoma umano. Classificava e catalogava i geni e ne studiava i meccanismi di attivazione. Avevano scoperto che tutti i geni erano ricoperti da una membrana costituita da una particolare proteina. A contatto con un enzima specifico questa membrana si disgregava e il gene veniva attivato. In questo modo i ricercatori pensavano di controllare l’attivazioni di specifiche tipologie di geni per combattere alcune malattie degenerative con caratteristiche, appunto, genetiche.
Col tempo la possibilità di attivare i geni però era diventata per lei una specie di ossessione, si chiedeva infatti cosa sarebbe successo se si fossero attivati contemporaneamente tutti i geni. Aveva chiamato il processo pomposamente Attivazione Sincrona Totale. Alla fine decise che l’unico modo per liberarsi da quella domanda fosse di provare su lei stessa. All’insaputa dei suoi colleghi cominciò una ricerca in tal senso e arrivò finalmente a mettere a punto la procedura necessaria per l’Attivazione Sincrona Totale. Un fine settimana d’agosto, i laboratori completamente deserti, cominciò l’esperimento, si iniettò il preparato, un cocktail di enzimi e attivatori cellulari, e aspettò.
Passarono le ore, sembrava non accadesse nulla, la giornata, caldissima, si spense in un tramonto ambrato. Venne l’oscurità, lei si alzò e uscì dall’istituto, camminò senza una meta aspettando che succedesse qualcosa, raggiunse la stazione; io mi ero appena sistemato sulla panchina, nel cuore della notte la donna si avvicinò, sbucando nel cerchio di luce del lampione più vicino; una senzatetto, io la salutai, lei si sedette al mio fianco tossendo e mi chiese una sigaretta, ci mettemmo a parlare. Noi ci conosciamo, mi disse.
Non so perché, ma mi parve di avere già vissuto quella scena.
La donna parlava, e fra un colpo di tosse e il fumo della sigaretta mi sembrava stesse tremando.
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